Una nuova ricerca su topi di laboratorio ha trovato la conferma sperimentale di una recente teoria secondo cui in alcune popolazioni di neuroni la codifica delle informazioni non si basa solo sugli impulsi elettrici che li attraversano, ma anche sugli intervalli di “silenzio” tra impulsi successivi (red)
La base di tutta l’attività cerebrale è nel funzionamento del neurone, che viene attraversato da un impulso elettrico: il potenziale d’azione. Questa nozione fondamentale delle neuroscienze viene ora in parte modificata da un nuovo studio pubblicato sulla rivista “Cerebral Cortex” da Joe Tsien, dell’Università di Augusta, in Georgia (Stati Uniti), che ha verificato sperimentalmente una sua ipotesi secondo cui una parte dell’informazione viene codificata dalla lunghezza dei “silenzi” che separano i potenziali d’azione, chiamati intervalli interpotenziali.
Le misurazioni mostrano che i neuroni sono sempre in qualche modo attivi: oltre ai potenziali d’azione, si osserva anche la presenza di fluttuazioni spontanee, il cui significato per il codice neurale non è ancora chiaro. Per dare un’immagine di queste fluttuazioni, Tsien usa spesso l’analogia con la superficie dell’oceano: nella maggior parte dei casi, può apparire tranquilla se paragonata a uno tsunami. Ma a ben guardare è sempre increspata dalle onde.
Alcuni ricercatori hanno inoltre notato una certa variabilità nel modo in cui uno stesso neurone risponde in occasioni diverse allo stesso tipo di stimolo, o come mantiene il proprio stato di riposo. Perciò si ipotizza che vi sia qualche principio di regolazione che permette al cervello di continuare a pensare e agire in tempo reale nonostante questa variabilità.
Recentemente Tsien e colleghi hanno proposto la teoria dell’auto-informazione neurale, secondo cui anche la variabilità degli intervalli interpotenziali fa parte di un codice neurale che veicola l’informazione. In pratica, la teoria prevede che il “silenzio” tra due potenziali d’azione sia tanto più carico d’informazione,
cioè più significativo, quanto più la sua durata si discosta dalla storia di variabilità dell’attività del neurone.
Per analogia, spiegano gli autori, è come se una persona che normalmente parla molto rimanesse in silenzio per lunghi periodi di tempo: anche il silenzio in questo caso potrebbe diventare significativo. Se poi fossero diverse persone a comunicare nello stesso modo in un gruppo, parole e silenzi diventerebbero una vera e propria forma di comunicazione.
Il gruppo di Tsien ha ora trovato un riscontro sperimentale di questa teoria di auto-informazione neurale in topi di laboratorio impegnati in compiti in cui dovevano utilizzare notevoli risorse di attenzione. Hanno così identificato 15 gruppi di aggregati di cellule nella corteccia e nell’ippocampo che lavorano insieme per coordinare i cicli del sonno o altre attività di attenzione e di risposta agli stimoli ambientali.
“Per identificare i gruppi di cellule che consentono ai topi di rispondere efficacemente gli stimoli, occorre identificare come sono fatti gli intervalli interpotenziali quando sono al di fuori del loro normale range di durata”, ha concluso Tsien. “Tra tutte le cellule di cui è possibile registrare l’attività è possibile identificare quelle che evolvono contemporaneamente verso uno stato diverso dal solito”.
È in queste occasioni che il comportamento dei neuroni somiglia a quello di persone che usano anche i silenzi per comunicare.
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